martedì 16 aprile 2013

Il Leone si è svegliato


Prepariamoci al mal d'Africa.
 




Un modo di dire riferito al disagio di chi si trova lontano dal continente nero dopo averlo visitato: nei prossimi anni anche in materia d’investimenti si potrebbe percepire la stessa sensazione;  

Ne sono convinti anche alcuni esponenti del Fondo monetario internazionale;

Investire in Africa significa puntare su un’area della potenzialità in larga misura ancora inesplorata, con elevato rischio a breve termine e fortissime potenzialità di performance a lungo termine;
 
The future is the Tanzania. 

Mukesh Ambani vuole investire nel turismo in Tanzania, miliardario indiano Mukesh Ambani, ultimamente molto chiacchierato per via dell’inaugurazione di quella che è passata ormai alla storia come la casa più costosa al mondo con circa 2 miliardi di dollari di valore, ha intenzione di investire nel turismo in Tanzania dopo aver concluso un viaggio di piacere in quei luoghi. 

L’obiettivo sarebbe quello di trasformare il Paese nella prima meta turistica del continente africano.

La Repubblica Unita della Tanzania si trova nell’Africa centro orientale.
 
 

La Tanzania è ben posizionata geograficamente e confina con numerosi paesi: Burundi, Kenya, Malawi, Mozambico, Rwanda, Uganda, Zambia e Repubblica Democratica del Congo. 

È il nucleo economico dell’Africa centro orientale fornendo accesso naturale e collegamenti commerciali a questi otto paesi. 

La Tanzania rappresenta quindi la piattaforma ideale per sviluppare attività imprenditoriali in tutta la regione. 

La Tanzania è cresciuta ad un tasso annuale medio del 6% negli ultimi quattro anni, diventando una delle economie in maggiore crescita dell’intero continente africano.
 
Lo sviluppo si fonda su solide basi macroeconomiche che rafforzano l’economia del paese ed escludono la possibilità di una crisi a medio termine. 

Il paese è la principale meta degli investimenti diretti esteri nella regione dell’Africa orientale.
 


Nell’ultima decade il totale degli investimenti diretti esteri in Tanzania ha superato i sei miliardi di dollari.  

La Tanzania, nel corso degli ultimi anni, ha migliorato l’intero contesto giuridico per le
attività d’investimento.

Sono state introdotte alcune disposizioni concrete per liberalizzare la gestione degli affari e ridurre la burocrazia. 

La Tanzania è oggi un paese dalle innumerevoli opportunità. Durante le ultime due decadi, è stata trasformata da economia centrale pianificata a sistema orientato al mercato, attraverso l’attuazione riuscita di riforme legali ed istituzionali.

Il Governo ha incoraggiato il settore privato attraverso l’attuazione di riforme liberali ed una minore interferenza nelle attività commerciali.  

Generalmente, le riforme hanno avuto come risultato trend di crescita positivi e l’inflazione è scesa dal 27.4% del 1995 al 5.6% nel biennio 2005/06. La crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) ha superato il 6% durante gli ultimi sei anni. 

La Tanzania è l’unico paese al mondo che assegna più del 25% della sua area totale a
parchi naturali e riserve di caccia.  

Possiede 14 parchi nazionali, 17 riserve di caccia, 50 aree di caccia controllate, un’area protetta, due parchi marini e due riserve marine. 

L’industria del turismo offre eccellenti opportunità d’investimento in:

• Costruzione e gestione di hotel, case e ristoranti.
• Iniziative infrastrutturali
• Progetti di aviazione
• Formazione delle istituzioni
• Operazioni turistiche
• Agenzie di viaggio


lunedì 15 aprile 2013

Tutti i musei pubblici d'Italia guadagnano meno del Louvre

In Campania paga il biglietto un visitatore su due, in Friuli uno su dieci. Il caso Ravanusa: nel 2009 un solo visitatore.



Ventisei euro di incassi l'anno per ogni dipendente: è da apocalisse il bilancio dei musei e dei siti archeologici calabresi. Sparare solo sulla Calabria, però, sarebbe ingiusto. Sono i conti del nostro intero patrimonio culturale a esser tragici: tutte le biglietterie statali italiane messe insieme hanno fatto introiti nel 2012 per un centinaio di milioni.

Il 25% in meno del Louvre da solo. Sgombriamo subito il campo da una polemica: statue e dipinti, fontane e ville rinascimentali non hanno come obiettivo principale fare soldi. Prima vengono la tutela e la condivisione del patrimonio che ci hanno lasciato i nostri avi. Ed è giusto che sia così. Non c’è museo al mondo che possa reggersi sui biglietti. E se anche funzionassero da noi come nei Paesi più civili le cose di contorno che aiutano a produrre denaro (dalle caffetterie ai Bookshop, dai parcheggi al merchandising) non sarebbero sufficienti.
 
Sia chiaro: è indecente che questi «optional» da noi siano trascurati. Ma in ogni caso anche là dove funzionano c’è comunque bisogno che le casse pubbliche (sapendo che poi gli investimenti rientrano generando ricchezza con tutto l’indotto intorno, dagli hotel ai caffè, dagli Internet point ai b&b) si facciano carico di una parte delle spese.
 
Ma un conto è che lo Stato, le Regioni, i Comuni ci rimettano il 30%, un altro che ci perdano il 95%. E vista la nostra situazione finanziaria è stupefacente che il tema non venga preso di petto come la sua gravità obbligherebbe.
 
Per cominciare, occorrerebbe far chiarezza nel caos anarcoide e incontrollabile degli ingressi liberi. Non è una questione di Nord e di Sud, dicono i dati ministeriali. È accettabile che entrino gratis uno su due dei visitatori dei musei in Campania e nove su dieci (1.347.316 contro 140.876) in Friuli-Venezia Giulia?
 
«Noi tutti prendiamo più sul serio ciò che costa che non ciò che è gratuito», ha scritto Luciano De Crescenzo. Ed è assolutamente vero. In questo caso amaggior ragione perché comunque i costi dei custodi, del riscaldamento, della luce elettrica di ogni museo ricadono sulle spalle dei cittadini che devono sostenere il sistema con le loro tasse. Ma se diamo per scontato che sia interesse della società lasciar entrare gratis tutti gli studenti fino ai 25 anni o gli anziani (lo fanno anche il Louvre e tantissimi musei economicamente sani), una regola generale deve comunque esserci.
 
 
 
La sproporzione tra quanti pagano il ticket in Calabria (uno ogni 18) o in Puglia (uno ogni tre) non ha senso. Come non hanno senso i paragoni fra le regioni del Nord, al di là del caso friulano: perché dovrebbero acquistare il biglietto il 67% dei turisti nei musei veneti e solo il 40% in quelli piemontesi e meno del 35% in quelli liguri? La media nazionale, del resto, è illuminante: per vedere i nostri tesori, i visitatori costretti ad aprire il portafogli sono solo 16 milioni su 36 e mezzo: venti entrano gratis.
 
Per carità, uno Stato serio potrebbe farne una scelta strategica: a Las Vegas mangiare e dormire costa molto meno che nel resto dell’America perché gli albergatori sanno che i clienti lasceranno giù un mucchio di dollari ai tavoli di poker e alle slot-machine. E così si regolano da anni con i musei nazionali, come ricorda Il Giornale dell’arte, i britannici.
 
È una questione di scelte: offri musei e siti archeologici e palazzi nobiliari gratis o quasi per attirare turisti sapendo che spenderanno poi nelle trattorie, nelle paninoteche, nelle locande, nelle botteghe. Il guaio è che nel nostro caso l’impressione netta è che a decidere sia la sciatteria, l’improvvisazione, la confusione totale. Senza un minimo di progetto. Di visione strategica. La stessa raccolta di dati è un casino. All’Ufficio statistica del ministero, per quanta buona volontà ci mettano, possono rastrellare i numeri di quasi tutto il Paese compresi il Friuli e la Sardegna, che sono Regioni autonome. Ma se chiedete loro quelli della Sicilia, della Val d’Aosta o del Trentino-Alto Adige, come abbiamo controllato ieri, vi risponderanno: «Non ne abbiamo la più pallida idea». Se il ministro vuole avere un quadro complessivo deve farselo comporre dalla segreteria, costretta a chiamare una ad una le repubblichine indipendenti. Cosa c’entrano, queste gelosie, con l’autonomia?
 
Quasi tre mesi e mezzo dopo l’inizio del 2013, la Regione Sicilia non è ancora in grado di dire com’è andato il 2012. L’unico dato: nel primo semestre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente gli incassi sono calati del 7,6%, i visitatori paganti del 10,6%. Quanto al 2011, spiccano dolorosamente i 400 turisti paganti (poco più di uno al giorno) all’Area archeologica di Megara Hyblaea, bella ma soffocata dalle pestilenziali vicine aree industriali. O il Museo archeologico Ibleo di Ragusa: 1,4 visitatori al giorno. Per non dire del museo archeologico di Marianopoli: due alla settimana. Per un incasso, se si tratta di adulti senza riduzioni, di un totale di quattro euro. Sedici al mese, 192 l’anno. Il sito di Ravanusa non è più in elenco: forse a causa delle perplessità sollevate dalla scoperta che nel 2009, a fronte di 340.000 euro di spese per gli stipendi dei dieci custodi e la manutenzione, aveva avuto nell’intero anno un solo visitatore. Uno.
 
Come si può, davanti a questi numeri impressionanti, invocare l’intangibilità assoluta dello status quo e l’inamovibilità degli addetti che non si possono spostare da un sito archeologico all’altro, da un museo all’altro? Anche ammesso che lo Stato (dovremmo scoprire giacimenti di diamanti sui Nebrodi o in Valsugana...) potesse farsi carico di tutto, è accettabile che lo Stato copra gli stipendi annuali dei dipendenti del ministero dei Beni culturali recuperando dagli introiti per ogni addetto 9.251 euro in Toscana, 4.487 in Lombardia, 6.896 in Campania, 250 in Liguria e 56 in Molise?
 
 
 
Per non dire, appunto, della sventurata Calabria dove gli incassi totali sono precipitati a 24.823 euro («numeri da chioschetto », ha scritto il Quotidiano della Calabria) e parallelamente, come raccontavamo l’altro giorno, i costi per il restauro del Museo archeologico si sono triplicati in tre anni salendo a 33.010.835 euro. Vale a dire che, con gli incassi di oggi, il recupero avverrebbe in 1.329 anni.
Meno male che prima o poi, nonostante i ritardi, torneranno al loro posto i Bronzi di Riace. E il sole, finalmente, farà capolino anche sugli incassi reggini...
 
Fonte "Corriere.it del 11 Aprile 2013"

venerdì 12 aprile 2013


Investire nei paesi emergenti, rischi e opportunità.



All'inizio quando si parlava di paesi emergenti l'dentificazione era con il Bric, Brasile Russia, India, Cina, che rispetto all'economie consolidate, segnalavano una forte crescita con la conseguente attrattività per gli investitori.

Oggi questo gruppo si è allargato, ad uno scenario globale, che vede protagonisti nazioni dalla Turchia alla Thailandia, dalla Malesia alla Tanzania.



Ma come l'investitore può muoversi con sicurezza?

Quali sono gli strumenti più adatti, le mosse da fare, e gli errori da non commettere?

giovedì 11 aprile 2013

La forza del team e' la forza della startup

In una startup, l'idea di business è il punto di partenza, ma poi conta come si gestiscono le persone per il raggiungimento degli obiettivi e per ottenere risultati migliori rispetto a quelli della concorrenza.



L'idea e le competenze tecniche sono la condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere il successo imprenditoriale.

Un imprenditore deve essere in grado di scegliere e gestire le persone con cui lavora, e non farlo significa esporsi a un'elevata probabilità di fallimento o al fatto che altri imprenditori possano far fruttare idee simili in modo più efficace.

La problematica principale riguarda il fatto che, come individui, tendiamo a circondarci di collaboratori che siano simili a noi. La similarità ci crea tranquillità e ci porta naturalmente a pensare che un determinato individuo sia un collaboratore ottimale perché pensa come noi.



La similarità, non esponendoci al di fuori della nostra zona di comfort, limita la possibilità di creare intorno all'imprenditore un gruppo di persone che siano in grado di offrire contributi e spunti di riflessione differenti per trasformare l'idea imprenditoriale in successo.

Un team valido sarà in grado di vedere le minacce e le debolezze del proprio progetto, riuscirà a trovare i rimedi e nuove strategie, mentre un progetto innovativo e caratterizzato da un’idea vincente difficilmente conquisterà il mercato se sostenuto da un team di medio livello, che si sfalda dinnanzi al primo ostacolo o che si mostra miope dinnanzi alle possibili soluzioni da implementare.

Un altro aspetto utile alla composizione di un team di successo nell’avvio di una nuova impresa è rappresentato dai diversi background professionali e geografici che caratterizzano i componenti di un gruppo di lavoro.

Un team composto da persone con professionalità differenti e di diverse culture può essere più creativo e dinamico di uno che invece vede al suo interno elementi provenienti dalla stessa realtà e con la stessa formazione.

Provenire da contesti differenti consente di costruire un bouquet di contatti e professionalità ricco e variegato, che dota il team di una visione più completa del mercato e di una percezione delle opportunità da cogliere più ampia e approfondita.

Il primo suggerimento è quindi: diversità nella composizione della squadra.




La diversità porta però a ulteriori complessità gestionali dal punto di vista delle persone: l'interpretazione del contesto di riferimento appare talmente differente agli occhi dei vari attori, che diventa difficile "remare verso un unico obiettivo".
 
Nella formazione di un team che deve collaborare alla nascita di una nuova impresa è fondamentale anche la condivisione delle “regole della casa”, per assicurarsiuna migliore gestione del flusso di informazioni e dei conflitti.
 
Il secondo suggerimento è quindi di condividere ed esplicitare l'obiettivo imprenditoriale e di definire le aspettative di ciascun collaboratore rispetto alla meta da raggiungere.
 
In sintesi, se il team rappresenta lo scheletro di una startup, l'imprenditore deve motivare il suo team, mettendo ciascun membro della propria squadra, incluso se stesso, nella condizione di poter rispondere a tre domande: La pensiamo tutti nello stesso modo? È chiara a tutti la nostra meta? Sono consapevole del contributo che io posso dare e che gli altri si aspettano da me? Se alla prima domanda rispondete “no” e alle altre rispondete “sì”... siete pronti per mollare gli ormeggi e far salpare la vostra idea!
 


lunedì 8 aprile 2013

Società fra professionisti in vigore dal 21 aprile

In Gazzetta Ufficiale il decreto che rende operative le società tra professionisti previste dalla Legge di Stabilità 2012: in dettaglio tutte le regole per costituire una STP.
 
 
 
Dal prossimo 21 aprile 2013 sarà possibile aprire una società fra professionisti (STP): da quel giorno entra infatti in vigore il decreto interministeriale n. 34 dell’8 febbraio 2013.
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 81 del 6 aprile 2013, il decreto regolamenta la nuova tipologia di impresa introdotta con la legge di stabilità 2012 (legge 183/2011, articolo 10, commi da 3 a 11).
 
La norma prevede anche la possibilità di avere soci di capitale con particolari requisiti e di aprire società multidisciplinari.
La STP (società fra professionisti) ha come oggetto «l’esercizio di una o più attività professionali per le quali sia prevista l’iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico».
 
La norma ha introdotto novità nei modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile, prevede obblighi di informazione nei confronti dei clienti al momento del conferimento dell’incarico, specifica le caratteristiche dei soci (e la partecipazione dei soci di capitale), le modalità di iscrizione al Registro delle Imprese e all’albo professionale ed infine il regime disciplinare della società.
 
 
 

Informativa al cliente

La società professionale al momento del primo contatto deve informare il cliente con atto scritto su:
  • elenco soci professionisti completo di titoli o qualifiche professionali di ciascuno, per poter chiedere che l’esecuzione dell’incarico sia affidata ad uno o più professionisti da lui scelti o con finalità d’investimento,
  • possibilità che l’incarico conferito alla società sia eseguito da ciascun socio in possesso dei requisiti per l’esercizio dell’attività professionale,
  • eventuali situazioni di conflitto d’interesse tra cliente e società, anche determinate dalla presenza di soci con finalità d’investimento.
In fase di esecuzione dell’incarico, il socio professionista può avvalersi, sotto la propria direzione e responsabilità, della collaborazione di ausiliari e, solo per particolari attività (caratterizzate da sopravvenute esigenze non prevedibili), può avvalersi di sostituti, sempre comunicandolo per iscritto. Il cliente può esprimere dissenso, anch’egli per iscritto, entro tre giorni dalla comunicazione.

Soci e incompatibilità

E’ vietata la partecipazione a più società di professionisti, anche per la società multidisciplinare, per tutta la durata dell’iscrizione della società all’ordine di appartenenza. L’incompatibilità viene meno alla data in cui il recesso del socio, la sua esclusione, oppure il trasferimento della partecipazione producono i rispettivi effetti per quanto riguarda il rapporto sociale.
Ci sono una serie di paletti per il socio di capitale, che si applicano anche a legali rappresentanti e amministratori:
  • deve avere i requisiti di onorabilità previsti per l’iscrizione all’albo professionale cui la società è iscritta (come la mancata applicazione, anche in primo grado, di misure di prevenzione personali o reali),
  • non deve aver riportato condanne definitive per una pena pari o superiore a due anni di reclusione per la commissione di un reato non colposo e salvo che non sia intervenuta riabilitazione.
  • non deve essere stato cancellato da un albo professionale per motivi disciplinari.
Il mancato rilievo o rimozione di una situazione di incompatibilità rappresentano illecito disciplinare sia per la società sia per il singolo professionista.
 
Registro Imprese
La STP è iscritta nella sezione speciale del Registro delle imprese, istituita ai sensi dell’articolo 16, comma 2, secondo periodo, del dlgs 96/2001. La relativa certificazione riporta la qualifica di società tra professionisti.
 
Iscrizione all’albo
La STP deve iscriversi in una sezione speciale degli albi o registri tenuti presso l’ordine o il collegio professionale di appartenenza. Nel caso in cui si tratti di società multidisciplinare, l’iscrizione va effettuata presso l’albo o il registro dell’ordine o collegio professionale relativo all’attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo.
La domanda di iscrizione è rivolta al consiglio dell’ordine o collegio professionale nella cui circoscrizione si trova la sede legale della STP, completa di atto costitutivo e statuto in copia autentica (oppure dichiarazione autenticata del socio-amministratore), certificato di iscrizione nel registro delle imprese, certificato di iscrizione all’albo, elenco o registro dei soci professionisti che non siano iscritti presso l’ordine o il collegio cui è rivolta la domanda.
 
Il consiglio dell’ordine o del collegio professionale verifica la documentazione e iscrive la società nella sezione speciale, indicando ragione o denominazione sociale, oggetto professionale unico o prevalente, sede legale, nominativo del legale rappresentante, nomi dei soci iscritti, eventuali soci iscritti presso albi o elenchi di altre professioni.
 
L’avvenuta iscrizione alla sezione speciale dell’Ordine va annotata nella sezione speciale del registro delle imprese, su richiesta di chi ha la rappresentanza della società.
 
Le variazioni o modifiche di atto costitutivo, statuto, contratto sociale, che implichino variazioni della composizione sociale, sono comunicate all’ordine, che provvede le relative annotazioni nella sezione speciale dell’albo o del registro.
 
Prima di un eventuale provvedimento negativo d’iscrizione per mancanza dei requisiti richiesti, il consiglio dell’ordine comunica tempestivamente al legale rappresentante della STP i motivi che impediscono l’accoglimento della domanda. Entro dieci giorni dalla comunicazione, la società ha diritto di presentare per<iscritto le sue osservazioni, eventualmente corredate da documenti.
Se le osservazioni non vengono accolte, l’Ordine lo comunica al legale rappresentante della STP con una lettera impugnabile secondo le disposizioni dei singoli ordinamenti professionali. Si può ricorrere all’autorità giudiziaria in base alle leggi vigenti.
Quando viene meno uno dei requisiti previsti dalla legge o dal decreto, l’Ordine cancella la società se non provvede alla regolarizzazione entro di tre mesi dal momento in cui si è verificata la situazione di irregolarità.
 
Norme disciplinari
Il socio professionista resta soggetto alle regole deontologiche dell’ordine o collegio a cui è iscritto, mentre la società risponde disciplinarmente all’ordine al quale risulta iscritta.
Se la violazione deontologica del socio professionista, anche iscritto ad un ordine diverso da quello della società, è riconducibile a direttive impartite dalla società, la responsabilità disciplinare del socio concorre con quella della società.
 
Reazioni
Dal mondo professionale si esprimono diverse perplessità sulla norma, ad esempio sul regime fiscale da applicare, su quello previdenziale, sulla vigilanza per le società multidisciplinari, sul rapporto con gli studi legali e con la recente riforma forense. Si attendono sicuramente disposizioni applicative dei singoli ordini, probabilmente anche nuovi interventi normativi.
 

Parigi e le nuove tendenze bio. I locali dove il verde va di moda

Il biologico va di moda. Soprattutto a Parigi, capitale francese. In città la nuova tendenza sono i locali dove mangiare e fare shopping all'insegna del verde.



A Parigi impazza la nuova tendenza biochic nei locali d’ogni tipo. Ristoranti e negozi moltiplicano le proposte écolo, mentre crescono i parcheggi di Autolib’ che replicano (solo per i residenti, però) in versione quattro ruote il successo delle bici Vélib’, da prelevare e depositare dove è più comodo.

Parigi, il verde e il cibo. Ecco i locali dove mangiare

Anche la tavola in questa nuova Parigi verde non è da meno. E i menu si adeguano al nuovo corso. Vediamo in quali locali andare a mangiare.


Boco

Prima che lo scoprano folle di turisti, vi consigliamo – per esempio - di fare un salto da Boco: è a due passi dall’Opéra, ma bisogna cercare attentamente per trovarlo, tra tutti i locali che affollano Parigi. Celebra la gastronomia bio con ristorante, spazio food, shopping e café, ed è diventato una delle mete preferite dei parigini all’ora di pranzo.

Paris Bio

Per riempire la dispensa si passa da Paris Bio o nei nuovi supermercati Bio C’Bon, da poco spuntati ovunque.

I mercati biologici all’aperto di Parigi

La Parigi verde non è fatta solo di locali, ma anche i mercati all'aperto.
Il sabato, l’appuntamento è sul Boulevard des Batignolles, per il mercato biologico all’aperto migliore di Parigi. Tra i quartieri che più seguono la tendenza bio c’è uno di quei quartieri cittadini che hanno fatto della creatività la loro bandiera. Qualcuno si rifà alla moda newyorkese e lo chiama NoMa, per qualcun altro, invece, non può prescindere dal francese e rimane l’Haut Marais. Distante quanto basta dalle zone più famose e più affollate del Marais più visitato e conosciuto che si stringe attorno a Place des Vosges e ai suoi negozi di antiquari, questo scorcio parigino mantiene un fascino dal sapore più bohémien.
Un angolo da esplorare è il Marché des Enfants-Rouges, il più antico di Parigi. Andateci il sabato all’ora di pranzo e scoprirete che chiamarlo mercato è davvero riduttivo. Due vicoli nascondono alla vista il piccolo spazio dove una decina di bancarelle vendono soprattutto prodotti biologici, frutta, formaggi, pane.


Parigi, i locali dove bere “vino biologico”

Versant Vins

Anche il vino segue la moda del momento a Parigi: al bancone del locale Versant Vins i parigini degustano un bicchiere di bianco, rosso o rosé, prodotto da viticoltura biodinamica. Attorno, la vivace atmosfera del locale si anima dei profumi di cibi etnici preparati al momento e pronti da portar via o da mangiare sui pittoreschi tavoli del mercato.

Hôtel de Sully

Per le strade di Parigi che uniscono l’Haut Marais alle zone più classiche del Marais (e che pullulano di locali) moda e creatività dividono la scena con l’eccezionale concentrazione di “hôtels particuliers”, come l’Hôtel de Sully, che nasconde anche un delizioso giardino con una limonaia. Riposatevi sulle panchine e godetevi questo angolo di quiete di Parigi, prima di attraversare il cortile (nei giorni lavorativi) e arrivare direttamente nell’incantevole Place des Vosges.

Fonte www.marcopolo.tv/europa----/parigi-locali-bio

domenica 7 aprile 2013

Incentivi al coworking in Lombardia

Contributi per i coworkers milanesi (imprese e professionisti) per lavorare in uno degli spazi comunali iscritti in un elenco qualificato.
 
 
 
Dalla Camera di Commercio e dal Comune di Milano arrivano nuovi contributi volte a sostenere le imprese e i professionisti con partita IVA che lavorano in spazi di coworking, purché accreditati e iscritti all’interno di un elenco qualificato.
 
Il bando, infatti, si basa sia sulla creazione di un elenco qualificato di spazi destinati al coworking nella città di Milano, sia sulla concessione di incentivi economici a favore di giovani coworkers.
 
Per quanto concerne la realizzazione di un elenco di spazi accreditati, possono presentare la domanda di inserimento i soggetti iscritti al Registro delle Imprese di Milano dotati di un numero di postazioni lavorative destinate al coworking non inferiore a 10, di banda larga o wi-fi e di spazi destinati alla formazione o ai meeting fruibili da tutti gli utilizzatori.
 
Le richieste di contributi per i coworkers, invece, possono essere avanzate dalle imprese o dalle persone fisiche che presentino un progetto di idea imprenditoriale.
 
 
 
Gli incentivi consistono in contributi fino a un massimo del 50% delle spese sostenute, e comunque non superiore a 1500 euro annui erogati a cadenza bimestrale e utilizzabili esclusivamente negli spazi di coworking contenuti nell’elenco qualificato.
 
Le domande possono essere inviate dal 26 aprile 2013 fino al completo esaurimento delle risorse stanziate.
 
Il bando è pubblicato sul sito della CCIAA di Milano.
 
 
 

sabato 6 aprile 2013

Coworking

 

 
Nato nei dintorni di San Francisco e presto diffusosi in tutto l’occidente, il coworking rappresenta un’opportunità in linea con le esigenze del lavoro contemporaneo.
 
 
 
Lontano dalla rigidità dei classici contratti di locazione, libero dalle incombenze di bollette e da costi di gestione, unisce il bello del lavoro indipendente con il piacere della condivisione.
 
Si chiama coworking ed è la soluzione per risparmiare e crescere, condividendo spazi, attrezzature, progetti, idee ed esperienze.
 
 
 
Si lavora in un open space dove c’è la possibilità di concentrarsi, fare riunioni, godersi la buona qualità dell’ambiente, ma anche di incontrare altre professioniste, avere momenti di relax, scoprire nuove opportunità di business in un incontro amichevole e collaborativo all'insegna della community;
 
Coworking vuol dire usare una scrivania – e tutti gli annessi e connessi, come la wireless lan, la stampante, la luce, il tè e il caffè – solo quando serve.

Il resto del tempo la userà qualcun altro.
 
 
 
 
 

venerdì 5 aprile 2013

Crowdfunding, arriva il regolamento Consob

La Commissione ha appena pubblicato il documento di consultazione sulla nuova normativa: le osservazioni dovranno pervenire entro il 30 aprile.
L'Italia è il primo Paese europeo a dotarsi di una normativa in materia di ROSARIA AMATO
 

L'Italia sarà il primo Paese europeo ad avere una normativa sul crowdfunding. La Consob ha infatti appena pubblicato il documento di consultazione sul nuovo regolamento, previsto dal "decreto crescita bis" (dl n.179 del 18 ottobre 2012), che ha l'obiettivo di favorire "l'accesso al pubblico risparmio da parte delle startup tramite portali on line": si tratta dell'equity crowdfunding. A differenza della versione "classica" del crowdfunding, che prevede il finanziamento di singoli progetti (concerti, dischi, film, documentari), invece l'equity crowdfunding mira a sostenere la nascita di nuove società, o l'ampliamento di quelle esistenti. Il legislatore ha preso in considerazione solo le startup innovative.

Le offerte effettuate tramite portali on line, spiega infatti la Consob, "possono avere ad oggetto soltanto la sottoscrizione di strumenti finanziari emessi dalle startup innovative e devono avere un corrispettivo totale inferiore a quello che comporta l'applicabilità delle norme sul prospetto (soglia pari a 5.000.000 di euro)".

 
 

 La proposta di regolamento intende, spiega ancora la Consob, da un lato agevolare l'attività dei gestori dei portali on line al fine di favorire la raccolta di capitali di rischio da parte delle startup innovative e, dall'altra, fissare dei paletti di sicurezza che garantiscano ai piccoli risparmiatori che aderiscano alle iniziative di crowdfunding un livello di tutela sostanzialmente equivalente a quello assicurato ai piccoli risparmiatori dagli intermediari autorizzati.
 
La nuova normativa dovrebbe dare un impulso ben più deciso all'equity crowdfunding, che ha già dato qualche soddisfazione alle prime piattaforme apparse sul mercato italiano: "Abbiamo quasi 1000 startup iscritte, 1500 investitori iscritti che hanno erogato dalla cifra minima prevista, 5000 euro, a un massimo di 150.000 — racconta Dario Giudici, ad di SiamoSoci, attiva da circa un anno — investimenti finora erogati per due milioni e mezzo di euro, che hanno permesso di finanziare il 15% dei progetti presentati".

Tuttavia finora SiamoSoci ha dovuto operare tenendo conto delle strettoie della legge italiana, e quindi i finanziamenti vengono erogati materialmente solo nel momento della costituzione della società, presso il notaio. Mentre la nuova normativa permetterà ai finanziatori di versare direttamente online.

"Quello del legislatore italiano è un passo molto innovativo in tema di crowdfunding, non esiste una legislazione di questo tipo in Europa. — sottolinea il consigliere della Camera di Commercio di Milano Alvise Biffi — Grazie alle nuove norme, sarà sempre più facile far incontrare potenziali investitori e aspiranti imprenditori. Fra l’altro il privato ha una prospettiva diversa dal fondo di venture capital, può finanziare un progetto che lo attrae per tante ragioni, non solo per avere un ritorno economico certo».

Tuttavia la legge “sviluppo” pone molti paletti: la startup deve essere innovativa, e questa caratteristica deve essere certificata da una serie di requisiti, tra i quali che la maggioranza delle azioni o delle quote sia detenuto da persone fisiche al momento della costituzione e per i successivi 24 mesi, le spese in ricerca e sviluppo debbano essere uguali al 20% del maggior valore tra costo e produzione, la società debba avere almeno un terzo dei dipendenti in possesso del dottorato di ricerca o di laurea e debba essere titolare di un brevetto industrial. Caratteristiche che fanno dire a Gianluca Vettori, presidente di DPixel (società di venture capital nel settore ICT), che certo la novità «potrà essere un volano per l’economia, e potrebbe risollevare l’economia italiana», a patto che però da questa fase pionieristica si passi all’estensione delle imprese finanziabili, così come è avvenuto negli Stati Uniti.

Tutti gli interessati potranno far pervenire le proprie osservazioni alla Consob entro il 30 aprile.

giovedì 4 aprile 2013

Danimarca: qui un’impresa nasce in 10 minuti

C’è del business in Danimarca: burocrazia snella, mercato del lavoro flessibile, stipendi alti (3mila euro in media), ottima qualità della vita.



C’è da dire che qui, come nel resto d’Europa, la crisi economica si è fatta sentire (nel 2012 il Pil è calato dello 0,6%). Ciononostante l’economia danese resta una delle più solide d’Europa.
Lo sa bene Claudio Pellegatta, milanese, dal 2009 a Copenaghen dove ha fondato l’agenzia di servizi alle imprese Columdae. Ecco per lui i vantaggi di fare impresa in Danimarca:
 
Per avviare l’attività sono bastati 10 minuti, le pratiche si sbrigano online. Lo Stato poi ti mette a disposizione consulenti, corsi di formazione, incontri con avvocati, esperti fiscali e addetti all’amministrazione».
 
Vivere in Danimarca ha, inoltre, molti vantaggi non solo legati al business. Ce ne parla Nicola Morelli, barese. Dal 2002 risiede ad Aalborg dove è docente di Disegno Industriale presso l’università:
 
Qui la vita è organizzatissima: per esempio, lo Stato aiuta le donne con figli, mettendo a disposizione le baby sitter. Trasporti, sanità … Tutto è molto efficiente. Sul lavoro vige la meritocrazia».
 
Vantaggi della vita danese ma anche svantaggi. Cosa lamentano gli italiani che vivono in terra danese?
1. Clima. Piove continuamente. Da ottobre a dicembre le giornate sono cortissime.
2. Tasse. La pressione fiscale è tra le più alte d’Europa: 48,1%.
3. Lingua. Uno scoglio insormontabile per molti è apprendere il danese, anche se gli abitanti parlano un perfetto inglese.
 
Per concludere alcuni indirizzi utili per chi volesse mollare tutto e trasferirsi in Danimarca:
Questo è un estratto dell’articolo di Maria Spezia, pubblicato su Millionaire di ottobre 2011.

L'uso giornaliero, risorsa in chiave d'occupazione

Il cosiddetto "day use" si sta facendo largo anche in Italia e i clienti non sono più le coppie clandestine, ma uomini d'affari e frequent travellers che usano l'albergo come una seconda casa;
 
 
 
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. E anche la formula delle “camere a ore” non si sottrae a questa legge della natura. Antica quanto l’arte dell’ospitalità, accompagna da sempre il settore dell’hotellerie, in modo più o meno velato, con (relativamente) poche strutture dedicate e molti altri alberghi per cui rappresenta una fiorente ma poco pubblicizzata fonte di business. A porre fine al “si fa ma non si dice” sono stati tra i primi i francesi, in particolare David Lebée, che, forte della sua esperienza come manager all’Hotel Amour di Parigi, ha deciso di creare un portale dove vendere le camere non a giornata, ma a ore. È nato così il portale dayuse-hotels.com, oggi presente in numerosi Paesi e sbarcato l’estate scorsa anche in Italia .«Il nostro sito di prenotazione entra in gioco in un momento in cui il day use si libera da pregiudizi e da un velato senso di vergogna - spiega Lebée - e si rivela un servizio in sintonia con le esigenze di una generazione sempre in movimento, pragmatica e aperta a nuove esperienze».Ulteriore prova ne è lo sbarco in Europa dei cosiddetti “love hotel” che in alcuni Paesi, come Brasile, Argentina o Giappone, sono molto diffusi e rappresentano un’opportunità per vivere amore e sentimenti senza subire le pressioni familiari (soprattutto per i giovani). Nulla a che vedere con i nostri motel di periferia: i “love hotel” sono strutture che non si nascondono, che offrono ambientazioni a tema e diversi livelli di servizio. Gli esempi interessanti sono sparsi un po’ in tutta Europa: come La França e La Paloma a Barcellona, in Spagna, o come il Pelirocco a Brighton in Inghilterra. Ma molto più numerose sono le strutture ricettive tradizionali, che possono offrire una soluzione “giornaliera” che unisce romanticismo e discrezione. E, attenzione, non solo agli amanti o a chi è a caccia di avventure. Oggi, infatti, il day use va a intercettare le esigenze di un pubblico trasversale e molto eterogeneo: uomini d’affari che hanno bisogno di uno spazio tranquillo per lavorare o ospitare business meeting in occasione di eventi o fiere (come, ad esempio, le fashion week in giro per il mondo), viaggiatori che vogliono riposarsi tra uno scalo e l’altro, oppure “frequent traveller” che usano l’albergo come una seconda casa. Tutti target che non sottovalutano nemmeno l’appeal economico del day use che riserva al mercato tariffe interessanti e con sconti che possono arrivare fino al 70%. Ciò è una carta vincente anche per gli albergatori che, grazie al day use, possono mettere a regime il loro stock di camere e godere di una fonte supplementare di ricavi. Che, considerati i tempi, non è un’idea da scartare.

mercoledì 3 aprile 2013

Expo 2015 e Paesi BRIC, un’opportunità di promozione … per la Svizzera



E’ corretto iniziare ad indagare quali potenzialità siamo in grado di concretizzare da qui al 2015, anno d’inizio dell’EXPO. Ne ha parlato anche il DG ENIT Babbi. 
 
E partirei da uno dei nostri concorrenti: la Svizzera.
 
 
 
Qui, come da noi, sono decisamente cresciuti i turisti provenienti dai paesi BRICS.
 
  
Nei primi sei mesi del 2012 i Cinesi nel solo Ticino sono stati 7000, si fermano un giorno ma comprano tantissimo, sino a 350 franchi di media a turista al giorno (più degli indiani che ne spendono 300).  
 
Per un cinese però le destinazioni svizzere non significano quasi nulla ed è alla ricerca di luoghi simbolo come “Cervino” (dice il Direttore di Ticino Turismo sognando di essere in Valle d’Aosta). 
 
Ma la Svizzera è conosciuta più per essere una delle destinazioni più note ai turisti indiani, grazie ai film.  
 
La Svizzera è una location perfetta ed “esotica” e prati in fiore e vette innevate sugli schermi degli indiani ne hanno fatto una luogo bello e desiderato.  
 
Molti Indiani programmano qui i loro viaggi di nozze (Kuoni ha organizzato un viaggio “Enchanted Journey” che offre anche la possibilità di riguardarsi le scene più belle del film mentre stanno viaggiando in pullman da un luogo all’altro.  
 
E così gli Indiani (132.000 arrivi e 327.000 presenze, ma sono di più perché spesso le “grandi” famiglie indiane utilizzano appartamenti privati) conoscono Interlaken, in cima alla Jungfrau possono mangiare indiano, ad Engelbeg ci sono alberghi con cuochi e camerieri indiani. 
 
La Svizzera, che è attiva, ha dimostrato anche un forte interesse per l’EXPO 2015, vendendo la Svizzera a chi, per l’occasione verrà in… Italia. 
 
Sembra che Svizzera Turismo (l’ente federale che cura la promozione turistica del paese) e Swiss Air (gruppo Lufthansa) stiano lavorando insieme per proporre pacchetti con hub Zurigo, pernottamenti nel Ticino, gite in trenino sulle montagne e poi trasferimenti ferroviari per Milano, e se si vuole anche tour nelle città d’arte. 
 
Comunque, secondo i grandi operatori internazionali l’Italia è e rimane, tra i Paesi Europei, in cima alle preferenze di Brasiliani, Cinesi Indiani e Sudafricani.
 

 
Ma le considerazioni svolte sui paesi BRICS e sui loro tassi crescita devono tener conto anche dell’attuale punto di partenza, dei numeri di oggi (il 2015 è già qui) oltre che delle prospettive di domani.
  
Oggi i Russi che viaggiano all’estero sono 24milioni, i Cinesi “solo” 18milioni, gli Indiani sono sette milioni e 5milioni sono i Brasiliani.  
 
E è anche giusto ricordare che gli Europei fanno 345milioni di viaggi all’estero, gli abitanti dei Paesi BRIC ne fanno 6 volte meno (54milioni).  
 
E quelli che si dirigono in Italia sono molto meno. 
 
Io consiglierei, per puntare ai paesi del Brics: 
 

Integrare nel sito del vostro hotel con  una o più lingue target;

 

Investire in Pay Per Click e SEO per la lingua target;

 

Strategic Placement su portali stranieri;

 

Realizzare offerte e pacchetti in linea col target di riferimento;